Via Po

Settimanale Culturale di
Conquiste del Lavoro

Numero 379
21/22 febbraio 2004


recensione a Una bella perdita di tempo

I FRAMMENTI DELLA QUOTIDIANITÀ

di Daniela Carmosino

S'era aperto, il Novecento, all'insegna del frammento: teorizzato, categorizzato, innalzato a forma ideale, a genere letterario, il frammento si fa dato, indizio, lacerto a partire dal quale si tenta di ricostruire la totalità, finanche la primigenia Totalità. Per Marina Mariani, che buona parte del Novecento ha vissuto, il frammento è un piccolo ritaglio di quotidianità, che d'un tratto s'accende, facendo baluginare un senso riposto nelle cose di tutti i giorni, rivelando una piccola verità esistenziale, mettendo in moto una riflessione che conduce a imparare o a ribadire qualcosa della realtà, della vita, della personalità di chi scrive. Nel suo ultimo libro, Una bella perdita di tempo (Quasar, Roma 2003, pp. 71, euro 8), sono i dettagli minimi, che ci scorrono grigiamente sotto gli occhi, quelli da cui scaturiscono le brevi prose, quasi appunti, he innescano un ragionamento, che diventano metafora d'un aspetto dell'esistenza: la trascuratezza del giovane verduraio, il gesto meccanicamente rispettoso d'un ragazzino sull'autobus, un giovane padre che passeggia, col figlio sulle spalle, presso Ponte Garibaldi, ignaro e ignorante della vita -oggi storia-che ha animato quel luogo. Si comincia a delineare, così, un universo che schiera da un lato i "giovani", coloro che non hanno memoria del passato, che vivono distrattamente e frettolosamente un presente che scivola rapidamente sulla superficie delle cose; dall'altro "i vecchi", l'autrice stessa, che leggono il presente attraverso il confronto col passato. Ma non lasciamoci fuorviare dal taglio esplicitamente autobiografico della raccolta, né dalle dichiarazioni d'estraneità d'una scrittrice "appartata": è sul filo d'un pensiero ininterotto, instancabilmente vigile e critico che Mariani imbastisce, ragionando tra sé e sé, una critica alla società. E descrive, così, un universo che pare una pattumiera ricolma, saturo d'informazioni, di libri, di film: tanta libertà di fonti d'informazione e di cultura si traduce così in potente, infido strumento di censura, che non vieta a nessuno di esprimersi, semplicemente non gli dà spazio, gli preclude l'ascolto. E allora Mariani si rivolge ai poeti -come lei- della quotidianità: Bertolucci, Saba, Penna, interlocutori di cui l'autrice ricorda i versi come fossero frammenti di una conversazione. Grazie alla pietas d'una memoria che la conserva e la rimette continuamente in circolo, la parola letteraria riprende così vita, senso, contatto con la realtà: in un dialogo serrato, ininterrotto negli anni, che cuce insieme, confronta la voce dei poeti con quella degli amici o degli interlocutori occasionali, infine con la propria, che pone sullo stesso piano letteratura e cronaca. Una conversazione cui Mariani ci chiama a partecipare, proponendoci, sulla traccia delle proprie considerazioni, dei criteri di pensabilità rispetto a un mondo da cui pure si pone a distanza: una distanza, che in una scrittrice, non può, non deve essere altro che essere distanza critica, capacità di lucido, seppur non sempre sereno, giudizio.