Roma, sede Edizioni Quasar

14 novembre 2007


Elisa Calzavara, Gabriella Caramore, Pinotto Fava, Giuseppe Rocca, Sabina Sacchi, Pino Saulo e Guido Zaccagnini presentano il libro di poesie “In campo lungo” di Marina Mariani, che festeggia anche il suo compleanno





MARIO QUATTRUCCI




Sono orgoglioso come direttore della collana “Segmenti” della Casa Editrice Quasar di aver dato spazio all’opera di Marina Mariani. Questa sera altri parleranno di lei e della sua opera. A me compete soltanto l’onere ma soprattutto il piacere di fare a Marina i nostri più grandi auguri di lunga vita e di scrivere un numero straordinario di altri versi. Marina la abbiamo incontrata qualche anno fa e come molti scrittori di valore che conoscono e sanno valutare la mediocrità di ciò che per il 90% viene pubblicato in Italia sia in versi che in prosa, aveva desistito, teneva da parte le cose che aveva scritto. Quando però si è chiesta: perché non pubblicare queste cose…ha incontrato questa collana, questi “Segmenti” che avevamo creato grazie a Liliana Bortot.
Da un lavoro di cernita è venuto fuori il primo dei nostri libri che è “La Conversazione”, una bellissima raccolta di versi che fu finalista al Premio Viareggio; una bella soddisfazione.
Successivamente, sempre per la Quasar ma non nella collana “Segmenti”, Marina ha pubblicato “Il gioco delle costruzioni”, un’altra raccolta di versi, e poi un bel libretto di prose, “Una bella perdita di tempo” in cui Marina raccoglie dei piccoli racconti, degli elzeviri, delle cose scritte per il giornale…e infine, di nuovo per “Segmenti”, questo più recente “In campo lungo” il cui titolo dice tutto perché le cose di cui Marina ci parla in versi con lo sguardo apparentemente freddo e meccanico di una macchina fotografica, abbraccia in realtà una ampiezza di spazio e tempo che ci auguriamo si estenda anche al domani. Quindi, scrivi ancora Marina; dacci presto notizie di te.


MARINA MARIANI

Quanti fiori! Grazie. Cari amici buonasera. Vi presento le persone che sono qui accanto a me.






C’è Elisa Calzavara, storica voce della radio, allieva prediletta della prima annunciatrice della radio Maria Luisa Boncompagni (qualcuno di voi forse la ricorderà) ma poi anche sociologa, docente di Antropologia Culturale presso l’Università di Roma ecc.ecc. ; attualmente trasmette a dei giovani questa sua capacità di lavorare sulla voce e sulla dizione e mi dà una gioia quando mi dice di aver fatto leggere a loro qualche mia poesia. Pino Saulo, grande cultore di jazz, che non solo con competenza ma con amore profondo cura varie trasmissioni (ricordo bene “Battiti” e Fuochi”?) ed è una persona di rara sensibilità alla quale voglio molto bene.
GIUSEPPE ROCCA, docente di Storia dello Spettacolo all’Accademia d’Arte Drammatica, sceneggiatore e regista (“vibratile” come lo definì il qui presente Pinotto Fava che è il creatore della stupenda rubrica “Audiobox”), il quale ha avuto l’affetto di curare la regia di una composizione radiofonica formata da mie poesie, prodotta da “Audiobox” e mandata in onda negli anni novanta; siccome mi ha detto di aver scritto un intervento troppo lungo, Giuseppe ha deciso di non parlare ma di far ascoltare un brano di questa opera radiofonica che lui ha curato veramente con rara maestria. Guido Zaccagnini, musicologo, docente di Storia della Musica, e voce nota anche lui perché conduce spesso “Radio3 suite”. Gabriella Caramore, autrice di “Uomini e profeti” , rubrica radiofonica di spiritualità molto alta nella quale mi ha ospitato più volte e di recente ha letto anche una mia poesia; non potendo essere presente Gabriella ha registrato un intervento in video. Quindi, come vedete, siamo multi-mediali.
Ah! Mi dispiace a questo proposito che non sia qui anche Stefania Scateni che è la responsabile della pagina culturale dell’Unità dove ha ospitato alcuni miei scritti, ma pare che sia in una infuocata assemblea per le difficoltà che sta attraversando in questo periodo il giornale.




ELISA CALZAVARA








Intanto devo dire che Marina ha detto il vero su di me dicendo che io appartengo a una specie di archeologia del microfono. E’ stato un incontro fondamentale della mia vita aver avuto la fortuna di ascoltare e di essere ascoltata, di dover prendere a modello Maria Luisa Boncompagni: questo certamente mi ha segnato. Io ero giovanissima e per ragioni di vita familiare ho iniziato a leggere per una o due persone non vedenti e questo mi dava un piccolo guadagno. Questo leggere per gli altri, per qualcuno che dipendeva completamente da me, mi ha fatto molto riflettere: non era una lettura di intrattenimento, era un servizio che io rendevo a qualcuno che non aveva che me per leggere particolari testi.
In particolare con una persona anziana – un uomo coltissimo, siciliano – ho imparato a leggere Il Mondo, L’Espresso, a leggere in francese, a leggere la narrativa, a leggere Pirandello, a modulare la voce a seconda dei vari testi.. Lui è stato il mio primo ascoltatore e il mio maestro perché mi correggeva; mi diceva “No, no, no. Rileggila. C’è qualcosa di più, c’è qualcosa che io mi aspetto di più da questa lettura”. Ed è stato addirittura lui che mi ha indirizzato a Maria Luisa Boncompagni.
Voglio dirlo questo per spiegare la mia passione di oggi nell’intrattenere dei giovani che per lo più non sono della RAI. Ho fatto anche parecchia formazione del personale all’interno della RAI e mi sono occupata di corsi per programmisti, conduttori, presentatori, speaker della radio, uomini e donne, ma con esiti molto malcerti; forse perché questi corsi, essendo offerti dalla RAI in via ufficiale , gratuita, istituzionale, erano spesso scansati. C’era un senso di in-sopportazione perché il parlare è molto frainteso. Si dice: “Beh, uno parla…tanto basta”. E invece non è così. Da Maria Luisa Boncompagni ho capito che questa può essere un’arte, un’arte che certamente io non so incarnare al suo livello ma verso quel modello ho sempre teso. Su questo argomento mi è capitato spesso di conversare anche con Marina: a volte con umorismo, raccogliendo gli orrori, le cafonaggini che arrivano alle nostre orecchie, mentre altre volte tutto questo ci ulcera amaramente.
Ora, per quello che posso, raccolgo il desiderio di alcuni giovani di liberarsi da tutto ciò e nel mio slancio pedagogico-didattico naturalmente entra la poesia. Nel menu che io fornisco a queste poche anime desiderose non so perché di dedicarsi alla archeologia della voce e arrivano da me attraverso un modesto e piccolo passaparola, c’è sempre una poesia: c’è sempre L’Infinito, o c’è un po’ di Kavafis, talora dei bocconi dei Quartetti di Eliot e c’è Marina Mariani. E loro mi hanno chiesto:”Ma davvero lei la conosce? Com’è? Come parla?” e siamo stati lì lì per arrivare a un incontro perché i giovani avevano il senso di un discorso che li prendeva; a cominciare naturalmente dalla poesia sugli occhiali perché vedevano me stessa cambiare gli occhiali (spunto fin troppo facile). E da Marina siamo passati alla Szymborska e di nuovo a Marina. E ho sentito che c’era un’adesione che veramente annullava le date, l’anagrafe, qualunque cosa. Un discorso piano e avvolgente.




GABRIELLA CARAMORE (in video)



 



Intanto: buon compleanno, Marina! Questo vuol essere un regalo di compleanno per te. Naturalmente poche parole non sono un grande regalo, però Marina dice: ”oggi è la mia festa” nell’ultima poesia di questa raccolta In campo lungo. Si sa poi che il festeggiato è lui che fa la festa per gli amici, quindi è lui che fa un dono agli amici e quello che portano gli amici è poca cosa.
Comunque, questa manciata di parole. Ho riletto questa poesia stamattina. Ero sicura, andandola a vedere, che si intitolasse “Riconciliazione”, invece si intitola “L’investitura”. Però è questa dimensione riconciliata che mi ha colpito più di tutto e questa allegria che ci si respira dentro. E allora mi sono detta: ecco, se c’è questa gioia quasi infantile che Marina esprime, questo giubilo, questa festa, questo senso del dono come se fosse quasi Natale, allora Marina si è riconciliata. Non intendo in senso psicologico, Marina lo sa che non è questo il linguaggio che prediligo e che frequento, è un altro. In quest’altro linguaggio – non importa tanto precisare quale – essere riconciliati vuol dire fare pace. Fare pace tra sé e gli altri, fra gli altri e sé, fra sé e sé. E Marina ha messo pace anche fra le sue parole. E in più, in questo modo, ci aiuta a capire che cos’è “pace”, che non è una calma piatta ma una quiete trepidante, non è lo spegnimento di ogni tensione ma il fatto che queste tensioni non fanno guerra. E poi c’è in questa poesia una parola che Marina usa ed è la parola “gratitudine” che fa parte del lessico dell’essere riconciliati. Però non la usa lei, la fa usare a Saba che dice : “immensa gratitudine alla vita / che ha conservate queste care cose”.
Perché non la usa Marina questa parola? Penso per pudore, per ironia, perché Marina,lo sappiamo, ha un linguaggio ironico e il ritmo stesso delle poesie è ironico. Io credo, presumo di capire un po’ perché. Primo: perché non bisogna dire troppo, non bisogna dire le cose troppo chiare; non per amore dell’oscuro ma per altri motivi. Il primo di questi motivi è che presumere di saper dire tutto sarebbe arroganza, dismisura, mancanza di umiltà… E Marina non è questo. Il secondo motivo è che a dire davvero le cose fino in fondo non si regge. E secondo me neppure Marina regge perché l’onda della verità ci travolge se vogliamo dire troppo. E allora in che modo bisogna dirle?
Bisogna dirle così:

Tra chi dice che tutto cambia
e chi dice che l’essenziale
non è mutabile, e mai
muterà,
il colloquio non è impossibile,
la discussione si può fare.

Bisogna solo lasciare a casa i fucili,
sedersi sul sedile di pietra
sotto l’albero di fico,
bere ogni tanto un bicchiere di vino,
distrarsi all’andirivieni
del cane bracco o pointer,
o al canto d’un uccello,
all’odore di mosto o di sterco
o di mentuccia.

Alla fine ci si saluterà
con una stretta di mano
(non è poi tanto grave,
il cimitero è piccolo e bianco
e intorno giocano i bambini).


Buon compleanno, Marina!


L'attrice Giusi Saija legge le poesie: Settembre, Io so quel che devo fare, Arrivati a questo punto (dal volume “In campo lungo”)





Io so quel che devo fare:
sopra la spiaggia immensa,
sterposa, assolata,
con infinita pazienza
piantare dei picchetti:
uno per volta,
senza fretta.

E quando finalmente
li avrò piantati tutti,
sopra un angusto cammino,
ma netto, preciso,
camminare.






GIUSEPPE ROCCA presenta un brano del radiodramma “Novella con figure” di M.M. di cui ha curato la regia e che è stato trasmesso su Radio1 in Audiobox dell’8/2/1990








PINO SAULO










Nel libro “In campo lungo” Marina cita una dichiarazione di Cézanne che si può applicare alla sua poesia: “dare l’immagine di ciò che vediamo dimenticando ciò che ci è apparso davanti agli occhi”.
Dice la poesia su Cézanne:

Quanti quadri per fare
un albero che non è più un albero e pare
chi sa – una linea un colore marrone o verde
un sovrastare di Dio
e insieme dire – quello lo vedi è l’albero
l’albero c’è
Che andirivieni dalla terra al cielo
Che strano mestiere dipingere

Spostare una parola da qui a là
(che strano mestiere scrivere versi)
e azzardare – non è una parola
quello che ho fatto è un pezzo
di realtà


E’ questa una delle caratteristiche di Marina: trasfigurare le cose con una indomita volontà di nominarle, chiamarle con il loro nome per far emergere qualcosa. E questo qualcosa che emerge dalle parole che Marina cita, chiama, dice ostinatamente, è in realtà il rapporto che gli uomini costruiscono intorno a queste cose. E’ il rapporto che esiste tra le persone. Le cose immediatamente rimandano alle persone, rimandano a quello che si è vissuto, all’uso che se ne è fatto o non se ne è fatto, rimandano alle cose che sono state toccate e a come sono state reinventate di conseguenza.
Un altro argomento mi sembra quello del pudore, dell’onestà intellettuale perché è vero che bisogna nominare le cose ma non necessariamente tutte le cose vanno nominate. C’è una sorta di pudore che non vuole nascondere quello che normalmente non si dice nella vita quotidiana, anzi: un desiderio di coinvolgere non sull’evidenza ma su quello che c’è sotto. Quello che c’è sotto sono per esempio i silenzi, le parentesi. Lo dice per esempio in questa poesia:

Mi rendo conto che dovrei fare il mio dovere e riempire bene la pagina
assenteista – qualunquista – asindacale
ignara di segreterie di partiti
incapace di trovare mattoni
svogliata di fabbriche
e di costruzioni

Non sarò punita però perché so
gestire per i miei fratelli il bianco

Io separo le righe



E poi continua con la poesia a fianco a questa:


Certamente l’essenziale sta fra
un rigo e l’altro, nel bianco

ma sono riflessioni forse di malati

alla radio se ci sono silenzi giustamente scatta l’allarme
stiamo in allarme tutti davanti al bianco

stiamo in allarme in Occidente
tutti



Questo saper nominare anche il silenzio, questa capacità di far parlare le cose – “Il partito preso delle cose” per citare una raccolta del poeta Francis Ponge – ma in realtà qui non si tratta del partito preso delle cose ma del partito preso della vita.
Un’altra cosa della scrittura di Marina è la compassione, cioè il saper sentire le cose, saper sentire le persone, parteggiare per l’umanità. E anche questo è detto molto bene attribuendolo ad Elsa Morante: quel suo "comprendere, / essere tutte, proprio tutte / le persone e insieme essere un’isola”.




GUIDO ZACCAGNINI









Vorrei dire due parole a mo’ di introduzione su una poesia che poi Marina leggerà, La Valse, che è il titolo di un’opera di Ravel. Io devo la conoscenza di Marina a Sabina Sacchi – che forse avrebbe dovuto stare qui al mio posto stasera – e attraverso questa conoscenza per tre volte Marina ha scritto “su commissione”. Ha scritto due volte in merito alla musica e una volta in cui la musica non c’entrava.
La prima volta si trattava di Dvorak. Ci inventammo, al contrario del poema sinfonico, una “sinfonia poetica” e lei scrisse un testo sulla base dell’ascolto dell’ottava sinfonia di Antonin Dvorak. La cosa che mi è rimasta impressa è come e quanto a Marina Dvorak, attraverso la sua musica, rendesse noto dove stava, da dove veniva, chi era, la sua collocazione. Questa era una cosa a cui non avevo mai pensato.
La seconda occasione musicale, invece, è stata appunto La Valse, di Ravel. E’ una poesia a mio parere straordinaria e credo che abbia avuto un riscontro più generale a parte quello originario.
E poi, la terza occasione fu quella dello tsunami, la catastrofe di due anni fa. In occasione dello tsunami ci venne in mente di commissionare, anche in questo caso, dei testi a una serie di persone che immaginarono di aver scritto questo testo 2 ore-4 ore prima della catastrofe, non sapendo che quello era l’ultimo loro scritto. E Marina scrisse una poesia su un pescatore.
Adesso, prima di darle la parola per leggere La Valse – visto che prima è stato citato il conte Monaldo e anche L’Infinito – mi è venuto in mente (cose che possono succedere leggendo e rileggendo le poesie) che qui Marina fa un gioco quasi come quello di Leopardi. Come Leopardi comincia con “Silvia” ecc. e poi “salivi”, La Valse comincia con “Tu mia” e finisce con “mai”.
Anche in questo caso c’è un anagramma.
E poi un’altra cosa a proposito del ritmo perché questa poesia ha molto a che fare col ritmo. C’è una frase di Edith Louise Sitwell che recita così: “il ritmo sta al suono come la luce sta all’immagine”. Notate allora sia l’inizio sia la fine di questa poesia: “mia immagine, mio ritmo…”
Adesso Marina Mariani legge La Valse. Ho preparato il disco.

La Valse

Tu
mia immagine,
mio ritmo,
mai come in uno specchio
- nitida, ferma, coi colori
giusti mi sei apparsa
mai.
Piuttosto sull’increspata
onda del lago,
che pure quando è fermo
lo sai, che se la burrasca
lo muove, sarà fatale.
E mai, se t’ho chiamato,
mio ritmo, sei arrivato
subito, come un amico fidato.
T’ho aspettato,
t’aspetto: ed ogni volta,
mia immagine, ti vedo
formarti dall’indistinto,
ti avverto,
mio ritmo, diventare suono
dal silenzio minaccioso,
gravido, che come il lago
non sai se sarà calma
o burrasca.
Poi, finalmente, nasci: e mi stai vicino,
mi accompagni nella mia città,
così grandiosa, la città in cui vivo
che devo stare attenta a non montarmi
la testa…Ci pensa lei,
mi mostra sempre l’inizio,
anche se vado per compere
o a teatro.
Lei ridendo esibisce le rovine,
l’inizio e anche la fine,
sempre davanti agli occhi:
perché in questa città
il giornale, l’attualità,
non dico che non c’è,
ma sta in secondo piano.
E allora,
mio ritmo, m’accompagni
sempre con la costante
dissonanza: la presenza
del doloroso inizio,
della fine improvvisa,
imprevedibile. Dunque non posso
abbandonarmi al festoso
motivo regolare
per poter arrivare
insieme, insieme agli altri
che hanno comprato come me il biglietto,
a battere le mani,
insieme agli altri, guidata
dal Direttore illustre
dell’Orchestra gloriosa.
L’uomo cambia, ma il rito resta uguale,
quello che conta è IL RITO.
(non per me,
mia immagine,
mio ritmo.)



Elisa Calzavara legge la poesia Riflessioni del pescatore tre ore prima del maremoto (dal volume “In campo lungo”)





È vero, sì, sto invecchiando.
Sono passati gli anni, l'uno
dopo l'altro. Uguali.

Ripeto i gesti: li conduco
per mano, i gesti leggeri
e precisi sopra la barca
prima di entrare nel mare.
Il mare è amico mio,
ci conosciamo da tanto
tempo. Questo mare,
questo pezzo di mare, con l'isolotto
dalla parte dove tramonta il sole,
che s'annera quando il sole
tramonta, e bisogna tornare
a riva.
                                    Il tempo -
dicono -
"lo devi far fruttare,
è il tuo capitale. Inventati
qualche cosa di nuovo, misura
le tue forze, adatta
le tue forze al tempo che hai.
Questo mi dicono gli amici".
Molti se ne sono andati
da questa terra, da questo mare.
Io resto. Devo pescare.
Ci vuole tempo. Bisogna non temere
di perdere tempo: il mare
vuole la nostra vita
tutta, ci chiede
di non misurare il tempo.
Non ama gli orologi, il mare.
L'ho capito una volta per tutte
con mio padre, quand'ero un bambino.
E adesso mi guardano i bambini,
di sotto in su, i nipotini,
e vogliono una storia,
e chiedono: racconta! Ma io non so
storie con un inizio ed una fine.
Io sto. Mi porta
la barca: la dirigo appena,
ma più m'affido a lei.
Io non procedo - coi passi,
né col pensiero. Guardo,
e tutto intorno cambia
continuamente, impercettibilmente.
Ascolto il ritmo regolare
dell'onda. Nel colore
che varia, nel ritmo regolare,
io sto. Non solo.



MARINA MARIANI

E’qui presente la mia amica, e anche parente, professoressa Teresa Spina che mi ha scritto delle belle cose quando ha sentito questa poesia. Questa signora, oltre ad aver insegnato lettere tutta la vita, è nata a Ercolano e di mare ne capisce. La vogliamo salutare?







Vorrei dirvi una cosa divertente. Da qualche tempo ho la grande gioia che le mie poesie rimbalzano in certi blog letterari di persone che non conosco, riviste on line… Una di queste – a cui mi ha introdotto Carlo Bordini che è qui presente – è “Sagarana”, la rivista di Julio Monteiro Martins, un professore brasiliano di notevole cultura che insegna presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa. Mi capita insomma che alcuni leggano le mie poesie e senza conoscermi mi mettano nei loro blog. Ho conosciuto per esempio un professore che vive a Providence vicino a Boston, si chiama Alessandro Tomasi e poi si è scoperto che è di Nettuno e la scorsa estate è venuto a trovarmi.
Questo giovanotto, che è un filosofo, aveva scritto un saggio nel quale si chiedeva paradossalmente se è meglio viaggiare o non viaggiare e, citando Levi Strauss, Proust e altri personaggi, a un certo punto con mia grande meraviglia scrive: “ e come disse (giustamente, disse!) la poetessa napoletana Marina Mariani: “la meraviglia non è andare sulla luna, la meraviglia è la luna”. Quando, come dicevo, in seguito ci siamo incontrati e siamo diventati amici, gli ho chiesto come era venuto a conoscenza di questa mia poesia scritta 25 anni fa , lui mi ha scritto (ve lo leggo):” tra il nostro primo incontro la scorsa estate e la tua poesia letta quando ero poco più di un adolescente, ci sono una serie di esperienze a cui spesso quelle poesie si sono accompagnate, un po’ come succede per quegli insegnamenti di certi maestri zen che non si sa come ti vengono in mente e per luce propria hanno il potere di rischiarare tutto. La poesia sulla luna mi si è accesa in testa più di una volta e l’ho citata nell’articolo sulla Filosofia del viaggio perché mi dava modo di criticare quello che per me è il rituale vuoto del viaggio turistico che diminuisce la nostra capacità di meravigliarci, essenziale primo moto verso la conoscenza”. Poi la lettera prosegue e alla fine dice: “ Altre poesie di Marina Mariani mi ritornano in mente di tanto in tanto con la stessa forza e la stessa sensibilità. Non parlo da critico ma da amante della poesia e le poesie di Mariani sono la sostanza di questo atto d’amore.
Quindi saluto la loro autrice augurandole di scrivere mille e più poesie, mille e più “lampadine” e di mandarmele perché qui l’oscurità si fa a volte troppo vicina”. Insomma, questa persona mi ha ricordato attraverso un libro di Einaudi uscito addirittura nell’ottantadue. La cosa, naturalmente, mi ha fatto molto piacere.
Un’altra persona che non conosco per niente, Stefano Guglielmin,che insegna a Schio in provincia di Vicenza, aveva messo alcune mie poesie nel suo blog letterario che si chiama “blanc de ta nuque”. In seguito a ciò alcuni si sono messi a commentare: “ma secondo te la Mariani è un poeta minore oppure no?” Io giustamente sono, mi considero un poeta minore, ci tengo; quelli lo hanno capito da soli. E poi dicevano: “mi piace questo, non mi piace quello…” Insomma, discutevano.
Credo che capiti sicuramente anche ad altri poeti, ma per me è stata una sorpresa.
Poi ho parlato con Guglielmin il quale mi ha mandato questa lettera che ora Elisa leggerà altrimenti sembra che mi dia troppe arie.

(Elisa Calzavara: “E soprattutto ho il vantaggio di non essere una fumatrice”)

STEFANO GUGLIELMIN

Buon Compleanno Marina!

Oggi Marina Mariani festeggia il compleanno presso la casa editrice Quasar, con la quale ha di recente pubblicato “In campo lungo”, antologia che contiene più di sessant’anni di amore verso la poesia. Il libro riflette pienamente l’umanità dell’autrice, il desiderio di non perdere il contatto con il mondo, scegliendo la frase che lo trattenga e, talvolta, ne fissi una scena per via esemplare; mi sembra, inoltre, che essenziale sia per lei parola d’ordine, quasi che il compito della poesia consista nel togliere al vero e al bello ogni rumore di superficie, così che la polpa levigata risplenda. E poi c’è la metafisica contrapposizione fra silenzio e rumore, tra il bianco e la scrittura, di radice ermetica, ma che lei piega ad esigenze di comunicazione più strette, così che la pedagogia e la critica politica, senza appesantire il discorso, entrino nel gioco dell’infinito intrattenimento (come Blanchot chiamava la “letteratura”). Insomma, questo libro racconta quanto di meglio un essere vivente possa conservare del proprio cammino, ciò a cui affidare fiduciosi un destino proprio perché in esso canta la speranza e l’ottimismo responsabile di chi sa cos’è il dolore. E lo fa con quella cifra d’ironia, che mai manca là dove l’illuminismo è ancora modello di conoscenza. Buon compleanno!!!




SABINA SACCHI








Io a Marina regalo poche istantanee della nostra conoscenza, lunga conoscenza che comincia per i corridoi della RAI. La prima istantanea è Marina a un banco di frutta al mercato rionale vicino a casa: Marina era da poco andata in pensione e ci siamo dette:”vediamoci, ci dobbiamo rivedere”.
Poco dopo mi capita di avere per il mio lavoro una piccolissima trasmissione che si chiamava “Parole e poesia”; durava in tutto cinque minuti, sigla compresa, ed era composta da una brevissima introduzione del poeta: io facevo al poeta due-tre domande, lui mi rispondeva e poi, nella seconda parte, era il poeta stesso che leggeva una sua poesia.
In quella occasione ho incontrato molti grandi poeti viventi e anche Marina Mariani. Quando la invitai a partecipare alla trasmissione lei fu stupita all’inizio, ma io ero profondamente convinta già allora – avevo letto solo le poesie pubblicate nella collana bianca di Einaudi e mi avevano enormemente colpita - e poi fa sempre una certa impressione riconoscere un poeta tra gli amici, che frequenti per motivi di lavoro, o privatamente…
Naturalmente conoscevo il valore di Marina Mariani come amica, come persona; poi la leggi e dici: è un poeta, un vero poeta. Io ho sempre avuto questa profonda convinzione e ce l’ho ancora adesso.








Seconda istantanea: Bertolucci, Attilio Bertolucci. Io e Marina parlavamo molto e adesso le nostre conversazioni mi mancano; lei potrebbe ancora dedicarmi del tempo ma sono io – ahimè! - che di tempo non ne ho più. Però quelle conversazioni mi mancano molto perché erano scevre da qualsiasi perdita di tempo e andavano al punto. E il punto per noi erano sempre i poeti, la letteratura, cose di questo genere, però molto semplicemente. Si poteva cominciare anche dal prezzo della frutta, però poi finivamo sempre a un frutto che finiva da qualche parte, a una novella… Naturalmente Marina è molto più colta e preparata di me e quindi sono stata io che ho “succhiato”, ho appreso da lei che mi fece leggere tra l’altro una poesia di Bertolucci che io non conoscevo: “Verso le sorgenti del Cinghio”. Mi rimase molto impressa, la leggemmo, forse ne feci una fotocopia.
Quando incontrai Bertolucci per la mia trasmissione – mi stava già salutando, eravamo sulla porta, però indugiava anche lui - siccome capiva che io amavo le sue poesie, che le avevo lette veramente, a un certo punto mi chiese: “ Ma a lei, qual è la mia poesia che piace maggiormente?” Io gli dissi: mi piace molto “Le sorgenti del Cinghio”. Lui mi guardò esterrefatto e disse:”Ma come la conosce? Ma lo sa che questa è la prima poesia della nuova raccolta, una poesia dimenticata”… Io dissi: “Me l’ha fatta leggere Marina Mariani”. E lui si ricordò di Marina Mariani.

MARINA MARIANI: Sì, perché Giulio Cattaneo che stava nella redazione di “Paragone” dove c’era anche Bertolucci, aveva portato una mia poesia alla redazione. Poi una volta lo incontrai per i corridoi della RAI e siccome lo salutai mi disse:”Come, non mi ricordo di Marina Mariani!"

SABINA SACCHI: Terza istantanea. Marina non c’era ma c’era la Szymborska.








Due anni fa venne la Szymborska a Roma e io feci la coda insieme a moltissime altre persone per andarla a sentire al Teatro Valle. Ero molto contenta, anche emozionata, mi piaceva molto sentire la poesia della Szymborska in polacco, nella sua lingua… C’era anche il suo ottimo traduttore Pietro Marchesani… Poi a un certo momento, sentendo le poesie della Szymborska, ho cominciato a pensare che noi avevamo la nostra Szymborska. Secondo me era Marina Mariani. Il tratto che le accomuna è l’ironia, il sarcasmo e anche il parlare delle cose. Quella poesia della Szymborska sulla cipolla è un po’ come quando Marina nomina ad esempio una chiave (prima si è parlato delle cose). Se Marina parla di una chiave è veramente una chiave, una chiave che apre una porta, una serratura, e poi da quella porta si entra in una casa e senti che è una casa vera, e poi si apre una finestra, da quella finestra si vedono degli uccelli e uno si posa sul davanzale.
Tutto questo fa sì che secondo me Marina Mariani – sono assolutamente certa, sono quelle certezze profonde – se avesse la possibilità di uscire con le sue poesie da questo recinto dov’è, potrebbe essere apprezzata del grande pubblico, anche quello che non ama la poesia, non è abituato a leggerla. Ovviamente c’è anche altro, anche quel bianco tra le righe di cui si parlava prima, ma sono certa di quello che ho detto.
L’ultima cosa, breve. Penso che ognuno di noi piega la poesia a quello che alla fine vuole. Io ho a memoria dei versi di Marina come ne ho di Montale, di Ungaretti… Ognuno di noi ha una sua galleria, me li ricordo, magari sbagliando. C’è ad esempio una cosa un po’ ridicola che io infliggo a certe colleghe (sono una giornalista). C’è una poesia bellissima, molto divertente di Marina in cui una giornalista in carriera che incontra a Piazza del Popolo “quelle due”: le guarda malamente, è periodo di saldi ma tanto si capisce che loro non comprano, vanno lente, sono vestite male… Io questa poesia non la so, però ogni tanto quando mi trovo tra le mie colleghe mi viene da dire: “Tu sei come la giornalista di Marina Mariani” . Loro mi chiedono: “Chi è?” Io allora ho fatto una fotocopia di quella poesia e gliela regalo.
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PINOTTO FAVA.









Quest’ultimo libro di Marina, è straordinario. Non perché gli altri non lo siano. Questo va letto integralmente non come un romanzo, ma come un film se vogliamo, è una storia organizzata cronologicamente. Questo non vuol dire che non ci sia lo spazio parallelo della vita nella poesia di Marina, perché in realtà lei è sempre dentro e fuori la vita. In ogni caso procedono parallelamente le due strade, quella della poesia e della vita; costantemente parallele, con sortite improvvise, sussulti, memoriali, in maniera irregolare, fratta, lacerata, comica, insomma con sortite di ogni tipo.
Lo strano (fissando alcuni punti che sono stati già detti e che sono soprattutto da vedere in quelle analogie possibili con l’arte visiva, il silenzio, il vuoto, lo scarto che- cosa molto importante - precocemente la coglie) è che, muovendosi parallelamente col tempo, con la propria vita e con se stessa, il fatto singolare di questa persona (al di là dello scarto tra l’opera e la vita che certo c’è ma che rende diversi, in qualche modo schizoidi, schizofrenici i poeti) in lei c’è una straordinaria coerenza: tanto la poesia è frantumata, fratta e ricomposta, tanto la sua vita è frantumata, fratta e ricomposta. A partire da un “vulnus” (mi dispiace dire questa parola perchè la adoperano molto i politici), una ferita che comincia presto e che parla del convivere serenamente con l’angoscia. Il che mi ha fatto pensare alla “serena disperazione” di Saba a cui forse ha pensato anche lei.
Vorrei solo mettere in guardia da una cosa a proposito della poesia di Marina: è vero che è una poesia piana nel senso che il lessico è agevole, si capiscono le parole, i luoghi, le entrate e le uscite dai luoghi. Basterebbe leggere non solo alcune cose della “Suite autunnale” ma per esempio alcune cose della poesia a pagina 46 E’inscindibile ormai… per capire che, al di là del lessico agevole, sia tutt’altro che facile, nel senso che gli scarti temporali e spaziali che sono dentro la poesia di Marina sono spesso molto arditi e molto azzardati per cui è una poesia di complessità assai maggiore e perciò non dovremmo soltanto bearci della lettura spesso molto divertente perché dolorosamente ironica del frammento, ma cercare di ricostruire questo complesso tracciato che la rende un poeta difficile, niente affatto facile come sembra a prima vista.
In ogni caso vorrei dire in conclusione che questo somigliare al proprio tempo e alla propria vita rende Marina – e questa sembra una banalità, una tautologia – molto somigliante a se stessa. Il che, di questi tempi, è una cosa molto difficile.


MARINA MARIANI

Un’ultima cosa: io volevo fare una dedica ad un poeta che non c’è più e che è stato nostro collega della RAI e quelli “anziani” se lo ricordano. Si chiamava Marco Visconti ed era un poeta, un regista della prosa - radio notevole. Vorrei leggere una sua poesia, perché mi piaceva, Marco Visconti.
Scusate, è un po’ lunga; si chiama “Giorni felici”:

Riempite tutte le schede
di numeri rapporti e previsioni,
ci accorgemmo di non avere più carta
per scrivere poesie.
Allora facemmo domanda
per averne. Così passò del tempo.

Altro tempo passava
in lavori marginali.
Telefonate, molte. Come sempre.
Un usciere ci disse
qualcosa, un giorno, di politica.

Adesso si trattava d’altre cose.
I palcoscenici erano morti
davanti alle platee dei portoghesi.
Qualcuno propose di alzare i prezzi
e di portare tutti in uno stadio.
Il bilancio, così, fu pareggiato.

Ma la carta non veniva.
Qualcuno era contento,
altri si chiuse in un silenzio duro,
un altro prese a tracciare sul muro
segni essenziali.

Mancavano anche i manuali
e chi potesse scriverne. Così
disimparammo tutto. Si trattava
di riprendere tutto, dall’inizio.
E l’usciere parlava di politica.

Ma senza ordini, niente da fare.
Telefonate, sempre. Ah, dimenticavo:
i giorni sembravano sempre giorni,
le notti sempre notti. Solo questo:
a poco a poco tutto
si trasformava in neon.


Questa è una poesia degli anni ’70.


(Con la torta di compleanno si conclude la serata.)









Le immagini che illustrano questa pagina sono fotogrammi tratti dal video realizzato nel corso della serata dal regista
Giuseppe Rocca      >1   >2